Marvelit & DC Italia presentano:

 

Kaine in:

Ghosts of Past... Shadows of Future /1

 di Yuri N. A. Lucia

 

 Ci osservano, studiandoci, incuriositi

da qualcosa che un tempo è stato loro.

Ci giudicano, spesso in modo severo,

poichè sentono il dovere di farlo.

Ci consigliano, quando possono, perché

hanno pietà di noi e dei nostri sbagli.

Spesso sono nascosti nel riflesso di uno specchio,

altre volte nel rumore dei passi che va spegnendosi

nelle tenebre della notte.

Sono ovunque, silenti icone di quello che è stato,

di ciò che abbiamo perso o di ciò che perse

uno sconosciuto.

Sono sempre al nostro fianco, fissandoci con vuote orbite...

...spettri.

 

 Arrivo - Il capo del serpente.

 

Erano le 8.00 a.m. quando arrivai. Il cielo era plumbeo e si era alzato un freddo vento che mi fece rabbrividire un poco, costringendomi a stringermi di più addosso il mio giubbotto. Guardai davanti a me, in lontananza, l'alto complesso di cupi edifici, costruiti secondo il famoso stile gotico Pinkney. Le alte guglie del cuore di quella metropoli, cariche di arcate ad ogiva e gargoyles di pietra e quell'atmosfera invernale, mi riportarono alla mente i versi di Killavey: come un motore, il cui caldo respiro pioveva fuliggine e disperazione sui lavoratori immigrati...; recitai a me stesso quei versi, imparati alle elementari, ricordando quanto mi piacesse lo stile triste e malinconico di quel poeta e quanto, spesse volte, avevo pianto per gli struggenti versi dei sonetti newyorkesi. Sorrisi tristemente, quando mi rammentai che non era mai successo veramente. Presi le due valige che costituivano tutto il suo bagaglio e si avviò verso il motel dove aveva prenotato per la notte. L'indomani mi sarei recato a fare un giro nella città vera e propria, alla ricerca di un impiego per cominciare a ricostruire... no, a costruire una vita per il sottoscritto. Dirigendomi verso lo squallido edificio a due piani, venni fermato da una pattuglia della G.C.P.D. Mi vennero chiesti i documenti, io gli mostrai quelli falsi che mi erano stati procurati. I due mi osservarono insospettiti, chiedendomi di aprire le valige e mostrargli il contenuto. Avevo smontato tutta la mia roba, in modo che se anche avessero trovato il doppio fondo, non avrebbero potuto capire di che cosa si trattasse. Non capirono che dentro c'era dell'altro ma furono molto pedanti. Ad un certo punto, uno dei due, un tipo con una corta barba striata di grigio, sulla quarantina, cominciò a farmi sottili e velate minacce, niente di eclatante, ma quelle cose tipo che la vita in città per un nuovo arrivato senza lavoro e senza conoscenze poteva essere molto dura, specie di questi tempi e specie con i provvedimenti governativi speciali, avere un amico o due, nei posti giusti, ovvero la polizia, poteva sempre far comodo. Alla fine, senza dire una parola, allungai al tipo un biglietto da 100, un bel colpo per il mio portafogli tutt'altro che carico, però l'unico modo di concludere quella storia senza dovergli spaccare la faccia a cazzotti. Il tipo si rabbonì, congratulandosi con me perché ero un tipo con il sale in zucca anche se un po’ troppo silenzioso per i suoi gusti. Mi lasciarono in pace e continuai il mio cammino. Ero proprio arrivato alla mia meta.

"Benvenuto a Gotham, Kaine..."

Così mi dissi tra me e me.

 

"Si, il viaggio è andato senza intoppi. No, ti ringrazio, ho ancora abbastanza soldi e poi oggi conto di mettermi in caccia per un lavoro. Si, un paio di idee ce le ho. Il Gotham Gazette cerca personale, dopo l'ultimo disastro sono a corto di gente, ed in fondo io ho una certa esperienza, indiretta, di fotografia. C'e anche la Fox corps, chiedevano 25 assistenti  per un nuovo laboratorio chimico che verrà costruito in periferia. Come vedi le occasioni non mancano. Certo, ti terrò informato... ah, tu come vai con il nuovo lavoro? Sono felice per te, essere uno scienziato full time è sempre stato il tuo sogno... beh, salutami tua moglie e Metropolis e... grazie per tutto quello che hai fatto per me Peter..."

Attaccai il telefono, con un po’ di riluttanza lo confesso. Peter era davvero una brava persona. Aiutarmi dopo tutto quello che sono stato, che ho fatto... eppure non si era tirato indietro e si era dato da fare per permettermi di crearmi una nuova strada da seguire. In un certo senso speravo di non deluderlo. La stanza del Motel era peggio di quello che potessi immaginare. Le pareti erano tutte scrostate, un tempo dovevano essere state di un verde chiaro tipo ospedale, l'arredamento era a dir poco spartano, un tavolino e un comodino di finto legno, un letto con le molle quasi tutte rotte e lenzuola logore, un televisore che prendeva solo due canali, di cui uno porno, uno specchio che non veniva pulito da un po’, un armadio a muro e, separato da una porta a soffietto, un cesso sulle cui condizioni igieniche preferisco non pronunciarmi. L'unica cosa interessante era la finestra che dava una bella vista proprio sulla City. Mi affacciai un attimo e lo vidi. C'erano dei camionisti che avevano parcheggiato non molto distante da dove mi trovavo e avevano alloggiato anche loro lì. Si erano fatti vicino a un gruppo di ragazzi, alcuni dei quali minorenni. Sapevo di questo tipo di cose, i t.g. ne parlavano in continuazione, e dalla Crisi dell'anno scorso, le cose erano ancora peggiorate. Adolescenti e giovani, maschi e femmine indistintamente, che si prostituivano per qualche dollaro, spesso anche per un pacchetto di sigarette. Accadeva anche che alcuni portassero i clienti in casa, sotto lo sguardo indifferente dei genitori, che alcune volte, sotto pagamento, si univano ai figli nel lavoro. Provai un moto di ribrezzo e mi chiesi se fosse il caso di intervenire. Mi decisi a fare qualcosa, stavo togliendomi la maglia quando vidi un'auto della polizia fermarsi proprio vicino a quell'assembramento. Tirai un sospiro di sollievo perché non mi andava di mettermi a svolazzare in tuta aderente in una nuova città. Erano i poliziotti con cui avevo parlato, fecero allontanare i camionisti. Poi, quello a cui avevo allungato la mazzetta, mise un braccio intorno al collo di un diciassettenne che indossava un giubbotto di jeans ormai logoro, e con lui si avviò tranquillamente verso un varco nelle lamiere che circondavano quello che doveva essere stato un parco. Avrei voluto vomitare, ma non potevo fare nulla in quel momento. Succedeva tutti i giorni evidentemente e non potei far altro che chiudere la finestra e buttarmi sul letto. Questa città era come un orrido, gigantesco serpente, avvolto nelle sue spire, che stava lì, immobile, divorando tutto quello che gli capitava a tiro e che da tempo, ormai, aveva mangiato anche i suoi abitanti.

 

 

Azioni.

 

Il perimetro della città vera e propria era sorvegliato da agenti delle nuova polizia speciale che era stata istituita dal governo, per affiancare la vecchia, gli agenti erano in assetto anti sommossa, con caschi, giubbotti al kevlar e mitragliatori a tracollo. Erano stati istituiti dei varchi sia per le auto, sia per chi entrava a piedi, cancelli per controllare chi entrava in città, o forse, molto più probabile, per impedire a quello che si era accumulato dentro di strabordare. Fui controllato più e più volte, poiché ero una faccia nuova e loro avevano schedato letteralmente tutti gli abitanti regolari della vecchia Gotham e di turisti ne venivano pochi di questi tempi. I miei nuovi lancia ragnatele erano costruiti in materiale ceramico e smontati, entravano perfettamente nella cintura, costruita nello stesso materiale. Non fecero dunque scattare i metal detector che mi furono passati almeno una quindicina di volte addosso. Dopo aver ripetuto altre 7 volte le mie generalità e i motivi della mia visita fui lasciato al fine passare. Oltre il muro di protezione le cose erano deprimenti oltre ogni dire. Le strade erano quasi impraticabili, per via di tutti i rifiuti che si erano accumulati ultimamente e che la nettezza urbana non ritirava da giorni, c'erano persino alcune macchine incidentate che erano state solo spostate ai lati ma che non erano state ancora portate via. Molti degli edifici avevano le facciate in pessime condizioni, portando ancora i segni delle crepe dell'ultimo spaventoso terremoto, e i vetri rotti, che tra l'altro erano sui marciapiedi, insieme a pezzi di intonaco e addirittura un intero balcone crollato. Quelli che incrociava per strada erano operai che andavano a piedi al lavoro, i bus non passavano ancora per tutta la città e quei pochi che c'erano, aveva sentito dire prima di arrivare lì, chiedevano cifre esorbitanti per trasportarti. Altri, invece, erano quelli che non si erano ripresi, anziani, spesso anche bambini, vestiti alla bene e meglio, intenti a frugare nella spazzatura in cerca di qualcosa da mangiare o da portare nelle proprie case. Nel corso degli ultimi anni diversi flagelli si erano abbattuti su quelle persone: prima una criminalità che aumentava giorno dopo giorno in modo geometrico. Poi la diffusione del Bane, la droga che aveva minacciato di finire sui mercati di mezza america. Il virus Ebola e un devastante terremoto lo scorso anno. Per risolvere la situazione dovettero intervenire Force One e i Fantastic Four. Vedere Cap. America, Green Lantern, Thor, Flash e Tusker, impegnati a riportare ordine in città e far fronte al caos fu qualcosa che impressionò tutti quanti. Probabilmente lì a Gotham tirarono tutti un sospiro di sollievo quando videro quei grandi eroi che discendendo dal cielo promettevano di riportare le cose a posto. Ma gli eroi se ne andarono e dopo pochissimo le cose si misero di nuovo male. Molte delle infrastrutture erano andate perse e il governo, che doveva far fronte ai danni all'economia subiti dopo le guerre con l'Atlantide di Namor e la Themyscira di Wonder Woman, non poté fare più di tanto. Nessuno sarebbe andato a vivere a Gotham in quel periodo. Nessuno tranne un criminale che contava di far perdere le proprie tracce in mezzo a quella torma di disperati, o uno come me... per cui deve ancora essere inventata una definizione. Ma chi voglio prendere in giro? Una definizione c'è... assassino!

 

"Lei è assunto."

Rimasi un po’ di stucco. Non credevo che trovare il mio primo impiego nella nuova città sarebbe stato così facile.

"Mi sembra stupito Abel."

Tom Farrel si accese una sigaretta, tirando una bella boccata su, verso i polmoni. Chiuse gli occhi per assaporare quel momento, che doveva aver aspettato a lungo durante la giornata. Mi dette un'occhiata nervosa e con riluttanza mi porse il pacchetto.

"Ne vuole una?"

Era un puro pro forma, non una sincera offerta. Per un fumatore, procurarsi la propria paglia era diventata impresa ardua, con il problema dei rifornimenti ancora in corso.

"No, grazie, non fumo."

Parve molto sollevato, ripose il suo tesoro nel taschino della giacca e tornò un po’ a godersi il suo momento di gioia mentre io, ancora seduto, lo osservavo, cercando di studiarlo meglio che potessi.

"Abel, la verità - parlò improvvisamente, mentre guardava il soffitto- è che non ci sono molte possibilità di scelta per noi. Certo, non voglio mettere in dubbio le sue capacità come fotografo, il fatto che lei abbia lavorato con uno del calibro di Peter Parker, come ci ha confermato gentilmente il signore stesso quando lo abbiamo contattato telefonicamente, è una buona credenziale, mi creda. Tuttavia in questo momento non abbiamo la possibilità di prenderci il lusso di fare troppo li schizzinosi su chi assumiamo. Di professionisti ne sono rimasti pochissimi, gli altri sono tutti degli improvvisati. Io però ho un dovere da rispettare, quello di far uscire con regolarità l'unico quotidiano rimasto in questa città, per far sì che i suoi abitanti possano sempre tenersi informati. Sarà pagato per ogni foto che acquisteremo e confido che lei faccia un buon lavoro... accetta l'incarico?"

Assentii e alzandomi, strinsi la mano a Farrel. Uscii dal suo ufficio e mi diressi verso le strade, con la macchina fotografica digitale compratami da Peter. Bene, ora avrei potuto fare qualcosa di utile e il che mi faceva stare decisamente meglio.

 

Non ci volle molto per trovare dell'azione. Una banca, una delle poche rimaste, era stata presa di mira da un gruppo di rapinatori e la polizia l'aveva immediatamente assediata per prenderli. Feci alcuni scatti che mostravano un sergente che dava ordini concitati ai suoi uomini, tutti con degli scudi steelglass e le visiere dei caschi abbassati. La polizia ordinaria, ormai ridotta a semplici funzioni di controllo e di smaltimento del traffico, se ne stava da parte, guardando senza far nulla. Mi colpì, in modo particolare, un uomo, sulla 50ana, capelli bianchi, occhiali, un paio di baffi fuori moda e un lungo soprabito color panna, un po’ sporco di fuliggine. Da dietro i suoi occhiali osservava la scena con un'aria fredda e distaccata. Ma qualcosa, nei suoi occhi, tradiva un senso di frustrazione profondo. Si girò verso di me, guardando in macchina. Abbassai la piccola digicam dopo aver immortalato quel viso, che in un certo senso rifletteva i sentimenti di quanti, in quella città ormai perduta, sentivano di non poter fare nulla. La e.p.D.O.G. aprì il fuoco verso la banca all'improvviso. Rimasi di sasso, proprio come il tipo che avevo appena fotografato. Non c'era stata nessuna provocazione, avevano iniziato sparando dei lacrimogeni e poi alcune raffiche di mitra. Un veicolo blindato, con una torretta terminante in un ariete, si lanciò alla carica della facciata della banca, sfondando i vetri blindati e penetrando dentro, seguito dai doogies... cercai di riprendere il controllo di me stesso e feci quante più foto potei. Provai ad avvicinarmi ma fui subito bloccato da due energumeni che mi ringhiarono contro di tenermi fuori dalle palle. Uno dei due fece un cenno alla polizia ordinaria che mi si avvicinò chiedendomi di mostrare i documenti ed identificarmi. Mi presentai come addetto stampa ma prima che potessi continuare quello con i capelli bianchi mi si era fatto vicino. Disse agli altri di lasciarmi stare. Quelli obbedirono, chiamandolo commissario.

"Questa è una città dove è rischioso fare certe cose ragazzo. Non te lo hanno detto al giornale?"

Cominciavo a capire come mai ci fosse tanta scarsezza di aspiranti reporter e fotografi. Con la fame che girava com'era possibile che tanti posti fossero ancora vacanti? Ovvio, perché era un lavoro dove i rischi erano molto elevati. Meglio probabilmente darsi ai furti... forse era questo quello che si dicevano tutti quelli che sapevano come funzionavano le cose.

"Me ne sono accorto - risposi - anche se non immaginavo che potesse esserlo così tanto."

"Se non ci fossimo stati noi quelli della e.p.D.O.G. si sarebbero limitati a strapazzarti un po’ per tenerti fuori dai piedi. Non amano molto i giornalisti."

"Come mai?"

"Come mai cosa?"

"Intendo come mai dice questo."

"Questo cosa? Io non ti ho detto proprio nulla..."

Capii cosa intendeva. Meno parli e meglio è. Questa è una costante di ogni posto.

"Certo... bene, allora la ringrazio per la bella chiacchierata sul tempo e spero di rincontrarla presto, commissario..."

"Gordon."

Terminò lui. Ci salutammo e me ne andai per la mia strada.

 

Non appena mi fui allontanato di poco, mi infilai in un vicolo sudicio, dove c'erano diversi cartoni, segno che la notte doveva essere il ricovero improvvisato per barboni. Un tempo quello era stato un quartiere elegante, un posto per signori, dove si passeggiava con le famiglie dopo un gelato o il cinema. Era stato tanti anni fa. Ora sembrava l'anticamera dell'inferno. Misi i vestiti in un bozzolo di tela, come ero solito fare ogni volta... dopo aver rapidamente rimontato e indossato i lancia ragnatele mi arrampicai lungo la facciata di un palazzo. Il senso di ragno pizzicò un poco e saltai più su evitando di cadere insieme al pezzo di muro che si era staccato. Bravo Kaine, mi dissi, come se la città avesse bisogno di altri danni. Scivolai di nascosto dal retro della banca, passando per una finestrella in cui un uomo normale avrebbe trovato difficoltà ad intrufolarsi. Tuttavia io ero ben lungi dall'essere definito normale. Rimasi sul soffitto, nascosto in un angolo buio. Osservavo la scena che sembrava uscita da un racconto da incubo. Il gas dei lacrimogeni non si era ancora completamente disperso e nonostante la protezione offerta dalla maschera ne soffrivo un po’. C'erano molte persone stese in terra, insieme ai morti tra i rapinatori, anche molti ostaggi. Era terrificante, i corpi erano straziati dai colpi impietosi dei mitra. Quelli ancora vivi tremavano e piangevano sconvolti. Mi chiesi come avrebbero giustificato tutto questo. Usando la piccola macchina incorporata nella cintura presi alcune immagini e sgattaiolai fuori. Quello che avevo visto era più che sufficiente. I doogies sembravano a malapena consapevoli che nell'edificio c'erano anche delle vittime innocenti. Avevano agito con l'unico scopo di eliminare i criminali, senza curarsi delle conseguenze. Un tempo ero stato anche io come loro, indifferente a quello che facevo, forse frenato solo da un vago senso morale. Ora però era tutto cambiato, non potevo tollerare una cosa del genere, ma al momento non potevo oppormi. Portare le foto al giornale perché le pubblicassero era l'unica cosa da fare.

 

"No."

"Cosa?!"

In vita mia ero stato poche volte incazzato come quella. Non potevo credere a quello che Farrel mi stava dicendo, cercavo di dirmi che dovevo aver un problema all'apparato uditivo.

"Abel, si vede che lei è nuovo qui in città. Gotham non è New York. Qui le cose vanno in modo diverso, specie negli ultimi anni. Le ho detto di trovarmi una storia, non di procurarmi dei guai. Mi dispiace, le sue foto sono ottime ma non le utilizzeremo per il nostro servizio. Questo giornale tira già avanti a fatica e deve sopportare mille pressioni dall'ufficio del governo provvisorio, oltre che il problema del calo di vendite in corso da una vita. Non posso permettermi di mettermi contro anche i doogies... il Pretore non gradirebbe che facessimo passare i suoi uomini da assassini, anche se effettivamente lo sono."

Sorrisi amareggiato. Credevo che avrei ricominciato una nuova vita ed invece...

"Certo sig. Farrel. Ho capito perfettamente come vanno le cose. Allora può dirmi lei cosa è lecito raccontare alla gente di questa bella città? Forse dovrei fare un po’ di foto dei doogies che distribuiscono cibo e coperte ai senza tetto o che posano con i bambini di Gotham, o che aiutano le vecchiette ad attraversare la strada, forse il Pretore ne sarebbe felice non crede?"

"Touche Abel."

Rispose freddo il direttore del giornale più importante di quell'inferno, l'unico rimasto tra l'altro.

"Non ti chiedo questo, per quanto possa sembrarti incredibile non sono certo disposto a calarmi le brache più di quanto non abbia già fatto. Non posso pubblicare quello che vorrei, vero, ma non farò neanche propaganda per quel... beh lasciamo perdere. Lei è uno che ci sa fare, mi piace. Ha avuto il fegato di intrufolarsi e seguire un'azione pericolosa. Non so se lei è coraggioso o stupido. Comunque credo potrei metterla su una pista che un nostro uomo ha fiutato un po’ di tempo fa. Lei sa cos'è il Grande Grigio?"

"No. Mai sentito nominare."

Kaine rispose con tono meno acido. Anche se ancora gli rodeva per quello che era successo, aveva capito che Farrel era una brava persona che cercava di fare al meglio il suo lavoro e combatteva in continuazione per non far chiudere un quotidiano che avrebbe dovuto esserlo già da tempo.

"La mia era una domanda oziosa. Lei non è di queste parti quindi non può saperlo. Anche gli abitanti di Gotham ne sanno poco, anzi, niente. Solo qualcosa sussurrato nei vicoli malfamati, vale a dire il 90 per cento di quelli in città. Secondo le poche informazioni che abbiamo avuto, si tratterebbe di un'organizzazione criminale, una specie di cartello del malaffare, che controlla tutto in città. Tasse nere, ovvero il pizzo alle attività, prostituzione, gioco d'azzardo, smercio di droghe in ogni quartiere, vendita di armi, se ho dimenticato qualcosa me ne scuso. Sarebbe nata poco dopo il terremoto, e controlla il territorio con pugno di ferro. Ha eliminato tutti quelli che potevano essere dei pericolosi rivali, compreso un delinquente che ci ha terrorizzato per molto tempo. Lo chiamavano Joe Cappuccetto Rosso."

"Questo l'ho sentito nominare. Ho visto un paio di servizi una volta su di lui. Lo chiamavano anche l'inafferrabile perché riusciva sempre a sfuggire alla cattura. Un paio di volte si era pensato di aver scoperto la sua vera identità e cinque anni fa addirittura lo si dava per rinchiuso ad Arkam. Invece era ancora a piede libero e ha commesso la bellezza di 51 omicidi a sangue freddo. Un vero re tra i delinquenti e gli assassini."

"Invece pare che stavolta sia stato ucciso, proprio dal capo del cartello in questione."

"E su questo tipo non si sa nulla vero?"

"Nulla. Ne da dove sia venuto, ne chi sia, ovviamente. Pochi lo hanno visto, o meglio ne hanno intravisto solo l'ombra, poiché pare ci tenga molto alla sua privacy. La cosa curiosa è che si tratterebbe non di un uomo, come sussurrano le leggende urbane..."

"...e di che cosa allora?"

"Una specie di mostro. Una demone. Una creatura delle Tenebre."

"Ah, e questo principe del male ha un nome?"

"Batman..."

 

 

Incontri.

 

 

Gotham city - ore 22.00

 

Erano ore che stavo seguendo la pista fiutata dall'ex collega, che detto per dovere di cronaca, era scomparso senza lasciare traccia, circa un mese fa. La strada che seguivo mi portò in quella che un tempo era stata una delle zone più malfamate della città ma che ora non era peggiore delle altre. I ratti, veri padroni del quartiere, scorrazzavano liberi tra i detriti e l'immondizia accumulatasi sui marciapiedi. Il tanfo di urina ed escrementi, in parte di roditore, in parte no, era così forte da farmi stare male. Entrai nel Red Rocket Cafè, una bettola dove si riunivano tutti i derelitti della zona e dove quelli che cercavano guadagni facili, o anche semplicemente guadagni, speravano di trovare un ingaggio. Riconobbi ad un tavolo, Jimi Casterville, un giovane pusher che aveva in mano quella zona e Carl Contabo, aspirante responsabile distribuzione scuole. Mi ero un po’ documentato sui criminali più noti, tanto per avere un'idea di chi dovessi seguire o a chi fare domande e a chi no. Ordinai un birra ghiacciata, scura, me ne portarono una chiara e calda come il mio piscio. Non dissi niente, anche se in un'altro momento avrei preso quella faccia da cazzo del barista e lo avrei unito in matrimonio al bancone davanti a me. Bevvi in silenzio chiedendomi se davvero qualcuno non ci avesse pisciato dentro, tanto era disgustosa, e cercai di appizzare le orecchie per captare qualcosa di interessante. Le uniche cose certe che Roger Tech aveva riportato nei suoi appunti, nient'altro che una raccolta di storielle mormorate a mezza bocca da ubriachi e barboni, era che il cartello, sempre che esistesse, considerava quel quartiere il suo centro reclutamento di manovalanza a basso costo. Il nome del Rocket ricorreva spesso e quindi era naturale che iniziassi qui.

L'esperienza artificiosa  di fotoreporter ereditata dal mio gemello forzato, si era rivelata piuttosto utile, sapevo come fare le giuste domande e sopratutto essere discreto. Peter era sempre stato molto in gamba, più di quanto pensasse lui stesso. Per essere un pivello che fino al giorno prima era preso per il culo da tutta la sua classe, aveva imparato rapidamente a muoversi con scioltezza in certi ambienti. Bevvi ancora non riuscendo stavolta a trattenere una smorfia di disgusto.

"Che c'è? Il signore non trova la bevanda di suo gradimento?"

Chiese in tono caustico l'omaccione con i baffoni ingialliti dalla nicotina che stava dall'altra parte del banco.

"No, no. Mai assaggiato un piscio migliore."

Mi limitai a ribattere in tono caustico ma calmo. Quello dette una scrollata di spalle e si girò per pulire un bicchiere le cui condizioni igieniche lasciavano alquanto a desiderare. Dubitavo che con quella pezza sarebbe riuscito nell'impresa.

Guardando nel grande specchio alle sue spalle vidi entrare un ragazzo, circa 13 o 15 anni, non di più, 1.54, caucasico, capelli scuri, lisci, lunghi fino alle spalle, occhi azzurri, costituzione normale. Andò al tavolo dei due squali che lo fecero sedere con grandi pacche sulle spalle. Era evidentemente a disagio e assentiva a tutto quello che gli cominciarono a dire. Non avrebbe dovuto trovarsi qui, non era posto per un ragazzino. Cosa gli stessero dicendo non lo sentii, c'era troppo parlottare ed erano troppo lontani per capirci qualcosa. Quando si alzò sembrava molto nervoso, assentì un paio di volte mentre quelli sembravano raccomandargli qualcosa, poi si girò e se ne andò. Avrei dovuto rimanere lì per fare domande sul Batman, o quanto meno vedere se riuscivo a sentire qualcosa, invece mi alzai, pagai la birra, e uscì dal locale. Non mi piaceva quello che avevo visto e per indagare ci sarebbe stato tempo, ormai conoscevo il locale e sapevo che due pezzi importanti della criminalità locale lo bazzicavano. Invece quel ragazzino sembrava in grosse difficoltà e non potevo lasciarlo da solo, non dopo quello che avevo visto in quella banca. Mi ero ripromesso di non indossare il costume, non volevo diventare noto come vigilante in maschera, però lo avevo portato lo stesso, mi ero detto solo per i casi d'emergenza. Ero un bugiardo cronico, non c'era niente da fare. Seguii per un po’ il mio bersaglio, poi voltai all'improvviso in un vicolo, manco a dirlo maleodorante come una cloaca a cielo aperto, dove mi cambiai rapidamente. Saltando di tetto in tetto, su qui bassi edifici, lo controllai dall'alto. Arrivammo, dopo circa un quarto d'ora, a un edificio a tre piani, il cui muro di recinzione era crollato in più punti, e nel cui cortile c'era il pennone spezzato sulla cui sommità aveva dovuto sventolare la bandiera degli U.S.A. C'erano davanti a quello che era l'ingresso principale, con il cancello caduto poco distante, altri cinque ragazzi, più o meno coetanei di quello che avevo seguito. Guardavo da dietro il parapetto di una vecchia palazzina color grigio sporco, attento a non farmi notare. Allungai leggermente il braccio destro, puntando al colletto del giubotto di pelle del ragazzo e vi sparai contro uno MicroSpidey, un aggeggetto di mia invenzione. Con la mia vista acuta ed iper efficente mi accorsi di aver centrato il bersaglio. Estrassi dalla mia cintura il piccolo ricevitore che portai all'orecchio.

"... io dico che voi siete tutti scemi."

Parlava una ragazza biondina, che faceva dei gesti concitati a quello che avevo seguito, spostando nervosamente lo sguardo anche sugli altri.

"Quella gente non scherza e voi vi volete mettere in affari con loro!"

"Lea, hai ragione - parlò lui - So che quella gente è poco raccomandabile, non sono mica scemo, però se lavoriamo per loro guadagneremo qualche soldo, il che non sarebbe male. Sopratutto eviteremmo di averli qui tra i piedi di persona. Credo che sia meglio no? Controlleremmo noi il nostro territorio. Io dico meglio con loro che contro di loro. Tanto non ci potremmo opporre in ogni caso."

"Io dico che Tim ha ragione. - Bene, sapevo come si chiamava il ragazzo ora, a dirmelo era stato uno con i capelli rossi, fortemente sovrappeso, con l'aria da ebete. - Perché dovremmo metterci contro di loro quando possiamo prendere soldi da loro. Non ci possiamo permettere di farceli nemici, tu lo sai cosa succede a quelli che lo fanno? Tom Robertson, quello che si rifiutava di pagare per la protezione e che aveva il negozio sotto casa mia, beh, se lo è mangiato il Batman!..."

"Zitto Bart!"

Era stato Tim a rimproverarlo con tono quasi isterico. Bingo, venivo per evitare che il piccolo si cacciasse in qualche casino, e vengo a sapere qualcosa di interessante. Delle volte è proprio vero che le buone azioni pagano, a fine serata sarei andato ad accendere un cero in chiesa, stavolta il buon vecchio principale se lo era proprio meritato. Continuai ad ascoltare interessato, altri accenni al Batman non furono fatti, intuii che si trattava di un argomento tabù di cui era pericoloso parlare all'aperto, quando magari orecchie indiscrete potevano ascoltarti. La banda si sciolse e i suoi membri si accomiatarono salutandosi e dicendo che si sarebbero rivisti alla galera il giorno dopo. Per il momento andava bene così, avrei tenuto d'occhio il piccolo nei giorni seguenti, ormai aveva il mio M.S. addosso, e come micro spia tracciante, era molto più efficiente di quelle che costruii... che Peter costruì, quando anche Spiderman era poco più che una leggenda metropolitana. Solo che questo Batcoso... aveva qualcosa di inquietante e pericoloso. Quando il piazzale davanti alla costruzione fu vuoto, saltai dal palazzo lì, e lessi la targa ormai rovinata di quella che avevano definito galera: La Thomas Wayne Memorial High School.

 

Presi la via più rapida per tornare a casa, quella dei tetti. Devo confessarlo, non c'era modo più piacevole per il sottoscritto di spostarsi, forse faceva parte di quello che era il mio istinto di organismo geneticamente modificato, fatto sta che mi era mancato da matti poterlo fare. Sotto sotto, neanche troppo, avevo desiderato tornare a librarmi in alto, sotto la luce di una pallida luna che cercava di farsi largo tra i nembi sopra la città, in una lotta notturna per il predominio del cielo. Mi lanciai nel vuoto, assaporando un poco quella sensazione piacevole che si ha quando, sospeso per alcuni istanti, senti la gravità che comincia a reclamarti per sè, facendoti avvicinare al freddo asfalto e tu, all'ultimo, la beffi, lanciando una tela attaccatasi ad un Gargoyle che sembra ghignare complice del tuo piccolo scherzo alla fosca signora, ti libri di nuovo, dopo aver descritto un arco ascendente, su, in quella pungente aria notturna. Proprio quando godevo di questa gioia, una delle poche della mia vita, qualcosa attirò la mia attenzione. No, farei meglio a dire qualcuno. Qualcuno che invadeva il mio regno, librandosi tra un palazzo e un'altro, giocando anch'esso con la tetra mietitrice in una danza di salti e piroette. Poi mi trovai a pensare che forse era il contrario, forse ero io l'invasore. Fosse come fosse mi decisi a seguirla, pallida ombra tra le ombre, tenendomi ad una certa di distanza che mi permetteva di non perderla di vista ma di non distinguere bene i particolari del suo corpo. Eravamo in quello che rimaneva del rinomato quartiere finanziario, costituito da altissimi grattacieli, tanto che avevo l'illusione di essere di nuovo a New York. Solo che questa sembrava una versione distorta e ben più cupa della Grande Mela....  una mela marcia per la precisione. Riconobbi l'insegna della Wittingham e Percy, il celebre studio legale che aveva sede nel Morton palace, uno dei più vecchi e importanti edifici del quartiere. Questo si trovava al 60emo piano dell'imponente costruzione e il tipo si posò sullo spazio angusto di un davanzale microscopico, con una precisione da lasciare senza fiato. Per tutto il tempo si era servito di un cavo flessibile, estremamente lungo, terminante in un rampino, con il quale, con grande maestria, si era mosso ad alta velocità. Doveva aver riavvolto rapidamente il cavo ed ora, probabilmente con una punta di diamante stava aprendo il vetro, praticando un foro circolare. In pochissimo tempo aveva aperto la finestra ed era entrato. Io mi interrogai sul da farsi. Seguirlo lì sarebbe stato troppo rischioso. Se ci avessero sorpresi mi sarei fatto una cattiva fama ancora prima di iniziare, l'avrei potuto pedinare dopo e scoprire cosa cercava lì dentro e perché. Iniziare cosa? Mi chiesi allarmato... che diavolo andavi pensando Kaine, mi rimproverai, questa gita sui tetti ti sta dando alla testa mi sà... il filo dei miei pensieri venne interrotto quando vidi che sgattaiolava fuori. Ripresi la mia caccia solitaria, finché non giunse sulle alte guglie di una chiesa gotica non molto distante. Lo vidi sparire, forse dentro una finestra. Mi posai badando bene a non fare il minimo rumore sul tetto e cercai l'entrata, individuandola in una piccola finestra ad arco acuto, priva di vetro. Mi apprestai ad entrare con cautela e, proprio all'ultimo secondo, inarcai la mia schiena, su suggerimento del mio buon vecchio senso di ragno clonato, evitando di pochissimo il morso della frusta che schioccò con un suono sinistro nel silenzio della notte. Mi voltai rapidamente, per fronteggiare l'avversario. Molto abile e furbo, doveva essere uscito da un'altra parte e si era mosso rapidamente, per tendermi una trappola.

"Bravo. - disse una voce suadente. - Non mi era mai capitato che qualcuno mi seguisse per così tanto tempo senza che me ne accorgessi. Ma ti sei sentito troppo sicuro ad un certo punto... e hai commesso un errore."

Ero senza fiato. Il corpo fasciato da nero lattex che disegnava le sue forme, direi molto generose, lasciando ben poco all'immaginazione, i guanti di metallo, dipinti di scuro, per evitare inutili riflessi rivelatori, la maschera, fornita di due curiose orecchie, che copriva integralmente la testa, da cui due occhi verdi, come poche volte aveva visto, lo fissavano animati da un gelido divertimento.

"Con me di sbagli del genere non se ne fanno bello. Imparerai presto cosa vuol dire avere a che fare con... Catwoman."

 

Era molto rapida nei movimenti, sapeva sfruttare bene le sue doti acrobatiche e il luogo dove ci trovavamo. Mi lanciò alcune punte che riuscii ad evitare per pochissimo, portandomi numerosi attacchi, ritirandosi subito per poi tornare a colpire, nascondendosi nelle zone d'ombra per rendermi più difficile capire che cosa volesse fare. Cercai di prenderla con una tela d'impatto, finendo solo per colpire un abbaino che si ritrovò avvolto in una sostanza viscosa ed elastica, resistente come l'acciaio, che si sarebbe sciolta da sola dopo un'ora. Provai allora con un approccio più diretto, ma lei riuscì ad evitare il mio attacco. Si lanciò in alto, agganciando con la sua frusta-cavo, un cornicione vicino. Riprese così il nostro inseguimento. Persino per me era difficile starle dietro ma non volevo perderla. Innanzitutto per scoprire chi fosse e perché fosse entrata in quello studio e poi... poi non lo sapevo neanche io. Le detti l'illusione di distanziarmi, perché volevo che fosse lei ora ad abbassare la guardia. Invece ebbi una brutta sorpresa. Fece esplodere qualcosa, forse una granata fumogena e la persi di vista. Nel momento in cui attraversai la densa nube, capii che sbaglio da idiota avessi fatto, cadendo in uno dei trucchi più vecchi del mondo, me la trovai addosso, avvinghiata la mio corpo e neanche il mio senso di ragno stavolta mi aveva potuto salvare. Sentii che stringeva le sue gambe intorno al mio ventre e l'entro coscia coperto da quella sostanza lucida e nera sfregare contro il mio costume. Cercò di cavarmi gli occhi dalle orbite ma, con sua grande sorpresa, lasciai per un secondo la tela, torcendomi all'indietro come solo al circo si sarebbe potuto vedere fare, solo con più efficienza, lasciandolo afferrare solo il vuoto invece che i begli occhi castani preferiti da zia May. O quanto meno il loro equivalente clonato. Feci in modo di afferrarla con le gambe, buttandogliele intorno al collo e afferrandole una delle cosce con una mano, mentre con l'altra riafferravo la tela, e, a testa in giù ed in una posizione curiosa ed equivoca per un'eventuale osservatore, mi liberai della stretta. La Gatta, senza perdersi d'animo, m'infilo un guanto artigliato nelle carni facendomi uscire un urlo di dolore come me ne erano capitati pochi in vita. La lasciai andare, e lei, volata giù, atterrò sul tetto di un vecchio cinema, in disuso da anni. Nonostante la brutta ferità, la seguii, fronteggiandola deciso ad avere delle risposte.

"Sei una gattina molto cattiva sai? Mi hai graffiato e questo non si fa. Forse è per questo che non mi piacciono i gatti? A dire il vero non li ho mai potuti sopportare e loro idem."

"Ed io non ho mai potuto sopportare i ragni. Solo uno psicopatico potrebbe scegliere come simbolo un brutto ragnone bianco e portarlo con fierezza sul petto. A parte questo comunque devo dire che il disegno del costume mi piace, ti dona molto. Incute molta paura e fa molto macho. Scommetto che tu ti senti così, vero cowboy? Un grosso macho che non vede l'ora di farla pagare a questa micetta cattiva cattiva, magari sculacciandola un po’..."

Si abbassò, allargando le gambe e cominciando ad ancheggiare in modo lascivo, indicando con un dito proprio in mezzo alle cosce...  rimasi ipnotizzato da quel suo muovere il bacino e dal leggero ballonzolare di un seno pieno e probabilmente bello sodo. Per fortuna il senso di ragno non abbassa mai la guardia anche quando io, come l'ultimo dei deficienti, lo faccio per dare ascolto ai miei ormoni. Per la seconda volta gli artigli cercarono i miei begli occhietti dietro le lenti a specchio e per la seconda volta fallirono il bersaglio, anche se di poco. Afferrai i polsi e assecondai il suo slancio tirando verso di me e lasciandomi cadere all'indietro, sulla schiena, mettendole i piedi sull'addome e spingendo verso l'alto. La feci volare per una trentina di metri buoni, su un'altro tetto di fianco, mentre lei agitò per un po’ braccia e gambe, eseguendo poi alcune capriole per smorzare la caduta ed atterrando con grande eleganze, propria dei gatti. Ci fissammo per un pò . Poi lei sparì di nuovo, voltandosi con il fare di un'amante capricciosa che prende in giro l'ultima conquista.

Mi lasciai cadere a in terra, massaggiandomi la coscia dolorante e bloccando l'emorragia come meglio potevo. La ferita era bella profonda e aveva gli artigli intrisi di qualcosa... forse curaro a giudicare dai sintomi. Era una fortuna che fossi stato provvisto dal destino di un organismo molto rapido nello smaltire tossine e veleni vari. Tuttavia lo sforzo che avevo fatto per farle fare quel voletto mi era costato ed ora ne pagavo lo scotto.

"Bravo Kaine! Il tuo primo appuntamento romantico a Gotham city e fai la figura del deficiente con la tua nuova fiamma!"

Mi dissi ad alta voce per tenermi concentrato ed evitare di svenire. Comunque sentivo davvero di aver fatto la figura del demente e questo non mi piaceva. Avrei trovato la gattina e avrei pareggiato i conti, sicuramente. Ai tempi d'oro, non l'avrebbe fatta franca così facilmente, nel momento in cui le avessi afferrato i polsi avrei stretto così forte da... ma di che tempi d'oro parlavo? Ero solo un assassino a sangue freddo e il fatto stesso che avessi pensato a quei giorni come qualcosa di bello e divertente mi faceva capire quanto sozzume mi fosse rimasto dentro e quanto... infondo... fossi poco cambiato in quel periodo.

 

Pensavo di aver avuto abbastanza emozioni per quella notte, invece mentre mi allontanavo dal cinema udii un grido che si spense subito, provenire da un vicolo sotto di me. Mi lanciai senza pensarci due volte, deciso a non far finta di niente e a intervenire, anche se avevo ancora la gamba in fiamme. Due tizzi, armati di coltello, stavano minacciando una coppia di anziani. Il vecchio aveva il volto tumefatto e uno spacco sul naso da cui usciva molto sangue. Quella che doveva essere la moglie invece un brutto taglio sull'avambraccio sinistro. I due se la ridevano della grossa e si preparavano ad eliminarli, forse per strappargli qualche dollaro. Calai dall'alto, come uno spirito della notte, o così mi piace pensare che andò, stringendo i denti per il dolore quando il piede toccò terra. I due si girarono perché avevano visto lo sguardo degli anziani e rimasero a bocca aperta quando fissarono il mio volto... o meglio... il volto del Ragno.

"B...Batman..."

Riuscì a biascicare uno dei due, evidentemente in preda al panico.

"NO. Spider..."

Colpii con rapidità e precisione alla mascella, mandandoli k.o. tutti e due. Cercai di dire qualcosa ai due vecchietti ma questi se la dettero di corsa a gambe. Rimasi stupito. Di nuovo quel nome, di nuovo quel Batman. Stavolta era successo che ero stato scambiato io per lui e questo aveva gettato quei due nel terrore più assoluto. Che anche questo tizio usasse una maschera? Magari proprio per ottenere un effetto simile sui suoi sottoposti. Spesso far leva su certe paure poteva essere molto utile per mantenere il controllo sui propri uomini o per intimorire i nemici. Sentii un gemito provenire da dietro e mi girai. Non potevo sbagliarmi, era stato un bambino ad emetterlo. Forse il nipote dei due coniugi che si era nascosto? E perché erano scappati abbandonandolo. Mi addentrai di più nello sporco vicolo. Sui muri quello che rimaneva di vecchi manifesti, veri e propri reperti del passato, a terra vetri rotti, pezzi di legno e di intonaco, caduti dall'alto, e la solita patina di disgustoso sporco che sembrava aver coperto interamente la città.

"Hey piccolo, ascoltami, i due tipi con il coltello sono fuori gioco. So che non ho un aspetto rassicurante nemmeno io, però ti assicuro che non voglio farti del male. Se vuoi rimanere nascosto fai pure ma dimmi solo se sei ferito o se stai be..."

Si voltò e se lo trovò a un paio di metri di distanza. Aveva 8 anni, un bel bambino dai capelli neri e gli occhi azzurri, con addosso un vestito da domenica di festa, decisamente fuori moda, ma molto carino. Aveva dei lineamenti molto dolci e uno sguardo triste e vago, gli angoli della bocca incurvati leggermente in giù.

"Ah... sei qui... allora, dove sono i tuoi genitori? Ti sei perso per caso? O erano quei due che sono scappati?"

Nessuna risposta. La cosa strana era la sensazione che avvertivo dietro la nuca... era il mio senso di ragno. Ma non stava pizzicando... era la prima volta che avvertivo quella strana sensazione. Che fosse un nuovo tipo di segnale? Ma che cosa mi stava dicendo esattamente e perché era iniziato quando era comparso il piccolo? Possibile che ne fosse lui la causa?

"Mi capisci? Forse sei impaurito e..."

I suoi occhi si colmarono di un'espressione di straziante dolore e di rabbia. Mi fissò, come se volesse dirmi qualcosa ma non potesse. Allungò le sue mani verso di me.

"Dio del cielo!"

Non riuscii a trattenermi dall'esclamarlo quando le vidi intrise di sangue. Forse era ferito, in modo grave, dovevo sincerarmene. Mi avvicinai verso di lui, per prendergli le mani e fu allora che capii cosa era a non andare.

Era incorporeo, quasi come nebbia del mattino, solo che passandogli attraverso, le mie mani, mi trasmisero una bizzarra sensazione di... solitudine e frustrazione. Mi ritrassi lentamente, continuando a guardarlo.

"Tu... sei un mutante bambino...? Dimmi... non avere paura io... posso aiutarti..."

Non rispose neanche allora ed io sapevo benissimo che non era un mutante, non chiedetemi come, ma sapevo che era così. La sua immagine svanì proprio come era apparsa ed io seppi in quel momento che avevo appena visto un fantasma.

 

Fine prima parte.

 

 

 

NOTE:

Per eventuali commenti scrivete a Spider_man2332@yahoo.com, Green_Lantern832@yahoo.com, oppure Loky_Lolth@hotmail.com. Suggerimenti e idee varie sono graditissimi.

Le avventure di Kaine sono pubblicate sulla virtuatestata Ragno Nero, sezione Ragno Family, su MarvelIT.